Il comportamento del lavoratore come causa sopravvenuta

In Varie il

5. Comportamento del lavoratore come causa sopravvenuta
(Cass. pen., sez. 4, n° 50070 del 21/12/15)
Poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore.
Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell’attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile.
Sentenza 50070 del 2015

4. Lavoratore alla guida di un muletto
(Cass. pen., sez. 4, n° 31229 del 17/07/15)
E’ concorrente nel delitto, per la violazione delle norme di prudenza, diligenza e di prevenzione degli infortuni, il lavoratore dipendente che, alla guida di un mezzo privo di idoneo posto di manovra e senza la presenza di incaricati alle segnalazioni, in condizioni di precaria visibilità e, quindi, di estrema pericolosità, investe una persona causandogli lesioni. Il lavoratore, infatti, pur non potendo ingerirsi nell’organizzazione aziendale, ha l’obbligo di rifiutarsi di operare in simili condizioni di estremo rischio per la sicurezza collettiva, con la conseguenza che l’accettazione del rischio connesso all’esecuzione, in tali condizioni, della propria prestazione comporta l’inevitabile associazione dello stesso lavoratore alla responsabilità per gli eventi lesivi in concreto provocati.
Sentenza 31229 del 2015

3. Responsabilità del lavoratore
(Cass. pen., sez. 4, n° 11579 del 25/03/10)
La funzione delle misure di prevenzione non è solo quella di evitare condizioni pericolose sulle quali il lavoratore non può interferire (per es. esposizioni nocive o situazioni insidiose non conoscibili dal dipendente) ma anche quella di evitare le conseguenze degli errori dei lavoratori dovuti alle più svariate ragioni (inesperienza, negligenza, eccessiva sicurezza, disattenzione ecc.). Non c’è concorso di colpa del lavoratore in caso di violazione, da parte di altre persone, di norme per prevenire le conseguenze di tali suoi comportamenti colposi (ad esempio se il lavoratore che opera in altezza e non è stato munito delle cinture di sicurezza, pone un piede in fallo per disattenzione, o se, sempre per disattenzione, quindi per una condotta negligente, viene a contatto con un meccanismo in movimento non protetto).
La norma di prevenzione è stata formata proprio con l’ulteriore finalità di evitare le conseguenze delle condotte negligenti o imprudenti dei lavoratori; condotte che dunque non hanno efficacia parzialmente scusante, sia pure ai soli fini civilistici, su chi è tenuto a garantire la sicurezza. E ciò anche se il lavoratore ha acconsentito a lavorare in situazione di pericolo, in considerazione dell’indisponibilità del diritto alla salute.
Ma poiché gli obblighi di prevenzione gravano anche sui lavoratori, il loro concorso di colpa non può essere escluso, pur in presenza di una condotta colposa di chi deve garantirne la sicurezza. Si tratta dunque di stabilire i limiti di questa responsabilità concorrente, che si individuano se è presente una condotta del lavoratore non solo negligente o imprudente, ma che consente di affermare che questi ha travalicato dalla mera esecuzione delle sue mansioni (ad esempio se ha volontariamente trasgredito alle disposizioni del datore di lavoro, o adottato di sua iniziativa modalità pericolose di esecuzione del lavoro).
Sentenza 11579 del 2010

2. Comportamento imprudente ed abnorme del lavoratore
(Cass. pen., sez. 4, n° 7267 del 23/02/10)
In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento (art. 41 e. 2, c.p.) quando è riconducibile all’area di rischio proprio della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentano i caratteri di eccezionalità, abnormità, esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute.
Può essere considerato imprudente ed abnorme ai fini causali, non solo il comportamento posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate, ma anche quello che rientri nelle mansioni che sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.
Partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, tale rimproverabilità viene meno se la condotta pretesa non era esigibile in quanto del tutto imprevedibile era la situazione di pericolo da evitare. Un rischio può considerarsi prevedibile, quando, in base a massime dì esperienza venga valutato che è possibile che vengano tenute determinate condotte a cui possono conseguire, non eccezionalmente, determinati eventi di danno o di pericolo.
Sentenza 7267 del 2010

1. Astensione da attività pericolose
(Cass. pen., sez. 4, n° 14437 del 2/04/09)
Nello svolgimento di attività potenzialmente rischiose, è obbligo dell’agente adottare le modalità meno pericolose. E se non è possibile individuare o attuare tali modalità la conseguenza non è quella di legittimare l’uso delle modalità pericolose e di esonerare l’agente da responsabilità per i fatti dannosi cagionati, ma quella dell’insorgere dell’obbligo di astensione dallo svolgimento di quella attività.
Sentenza 14437 del 2009

 

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